Nell’autunno del 1946, dopo circa quattro anni di assenza, il P.Vergara riuscì a ritornare in Birmania. A Toungoo lo attendeva il suo vecchio maestro e condiocesano P. Pasquale Ziello. Purtroppo però molte cose erano cambiate dalla sua partenza: numerose opere della missione tra cui la pro cattedrale, l’orfanotrofio dei ragazzi cariani, il seminario erano state distrutte durante la guerra anglo-giapponese; anche a Citaciò, dove il Vergara aveva iniziato nel 1934 il suo apostolato la situazione era la stessa.
Alla fine della guerra il vescovo mons. Alfredo Lanfranconi, desiderando ricostruire le zone distrutte e volendo estendere il cattolicesimo in altre aree della missione, cercò qualche missionario disposto a recarsi sui monti della Cariana, ad est di Loikaw. Il P. Vergara con grande sensibilità fu l’unico a proporsi per questo compito. Nonostante il vescovo fosse consapevole delle cagionevoli condizioni di salute del Vergara accettò la disponibilità del giovane sacerdote. Fu così che nel dicembre del 1946 con entusiasmo comunicava al p. Manna la notizia: «Appena appurai la decisione del Vescovo, dimenticandomi di avere un rene solo, proposi a Sua Eccellenza di concedermi l’onore di essere il primo missionario residente in quei remoti luoghi; dopo varie difficoltà il Vescovo si arrese al mio desiderio, ed ora io son qui e spero di starci fino a vedere la Croce trionfare su questi monti».
Dopo alcuni mesi di lavoro missionario, in cui non mancarono le difficoltà dovute all’ostilità dei capivillaggi, la gente sostanzialmente si mostrava ben disposta nei riguardi dei missionari.
Nel 1948 giunse in Birmania come coadiutore del p. Vergara il p. Pietro Galastri, il quale era stato alunno dei seminari del PIME di Ducenta e Aversa. Dopo un viaggio avventuroso, passando per fiumi e montagne il p. Galastri accompagnato da fratello Pasqualotto, il quale era pratico di quei luoghi, raggiunge finalmente Taruddà, il villaggio dove si trovava Vergara. Appena di fronte l’uno all’altro, i due missionari si abbracciarono fortemente e vinti dall’emozione non riuscivano a scambiarsi parola. Il Galastri non aveva grandi doti intellettuali ma era un abile falegname e carpentiere. Gli stessi cariani rimanevano sbalorditi nel vedere le doti di questo missionario e gli chiedevano la “medicina” per diventare forti come lui. Tali doti risulteranno indispensabili dopo il trasferimento dei due missionari da Taruddà a Shadaw.
Il territorio dove operava il p. Vergara era situato ai confini con la Thailandia ed era composto da tre staterelli denominati Karenni perché abitati dai cosiddetti cariani rossi. Il capoluogo della regione era la città di Loikaw. È da premettere che già nel 1907 i pp. Manna e Pirovano avevano tentato di stabilirsi in quei territori ma senza riuscirci.
La situazione era molto delicata e lo stesso Vergara lo scriverà in alcune lettere inviate al fratello Carmine. Nella prima lettera dell’ottobre del 1948 si legge: «Qui in Birmania, da che gli inglesi sono andati via, le cose vanno a rotta di collo. Il brigantaggio comunista, le defezioni ed insurrezioni del così detto esercito, assalti a città e paesi, deragliamenti di treni, guerra e scaramucce, sono ora all’ordine del giorno». In una lettera successiva emergono notizie ancora più preoccupanti: «Noi siamo tagliati fuori comunicazioni a causa della guerra fra Cariani e Birmani; ormai si comincia a sentire bisogno di tante cose che finiscono e non si possono più comprare. Noi non siamo maltrattati ma sospettati dai ribelli e vigilati». In questo clima di tensione e di paura che si evince anche dalle lettere che il p. Vergara inviava al suo vescovo, i protestanti battisti iniziarono a creare scompiglio fra i cristiani: alcuni purtroppo abbandonarono la fede cristiana per seguire un certo stregone il quale si faceva chiamare «dio». Scrive Galastri: «Ora siamo quasi prigionieri. I protestanti battisti ci hanno chiuso le strade che ci uniscono al centro di Loikaw e non possiamo comunicare coi confratelli di Toungoo, che sappiamo in pericolo anch’essi dell’invasione comunista». Di fronte all’apostasia di tanti suoi figli spirituali, il p. Vergara, che aveva un carattere forte e un cuore ardente per la salvezza delle anime, cercò con ogni mezzo a sua disposizione di confutare tutte le bugie del falso «dio», il quale aveva ingannato i poveri e ingenui cariani.
Dopo quindici mesi di oppressione, finalmente, le truppe dell’Unione Birmana il 12 gennaio del 1950 liberarono quei territori dall’insopportabile giogo battista. In una lettera indirizzata al p. Manna, Vergara scrive: «È stato un anno di privazioni ed umiliazioni; né posso ancora gioire pienamente perché il mio distretto di Shadaw è ancora in mano di quella brutta genìa. Le truppe battiste, al momento della ritirata, diedero fuoco alla città distruggendone due terzi; e se le truppe birmane non fossero arrivate in tempo nulla sarebbe rimasto della città e della missione […] Attualmente ho in cura 11 villaggi e se tornerà la pace e l’ordine spero, con l’aiuto di Dio e dei miei benefattori, di prenderne molti altri». Tuttavia a Shadaw erano presenti ancora ribelli battisti e dunque l’isolamento del p. Vergara dal centro della Missione continuò fino a maggio del 1950, quando fu ucciso dagli stessi ribelli insieme al catechista Isidoro Ngei Ko Lat.
Circa le modalità esatte dell’arresto e dell’ uccisione dei due missionari non vi è unanimità tra le fonti anche perché la notizia arrivò con notevole ritardo sia in Birmania che in Europa.
Da una lettera del P. Bartolomeo Peano, missionario confinante con il distretto di Vergara e Galastri si legge: «Il 24 maggio alle ore sei del mattino alcuni ribelli armati entrarono nella residenza di Shadaw dove si trovava il p. Galastri che fu condotto al bazar dove si trovava il p. Vergara con un catechista. […] Riguardo al luogo dove i nostri due padri sono stati condotti, sembra che sia Pazaung: un villaggio lungo la strada di Mawchi».
Queste notizie iniziali e piuttosto incerte furono purtroppo confermate da mons. Alfredo Lanfranconi, vescovo di Toungoo in data 10 settembre. A Shadaw si dice che nessuno fu presente al momento dell’uccisione, tranne i soldati, quattro o cinque, e il comandante, un certo Richmond. Dopo essere stati uccisi i corpi del p. Vergara e del catechista Isidoro furono chiusi, in due sacchi, separatamente. I sacchi, che vennero gettati nel fiume Salween, furono avvistati da alcuni shan nei pressi di Tatamaw e di Ywathit, minuscoli villaggi situati a sud di Shadaw, lungo il corso del fiume Salween. I pescatori, aperti i sacchi e visto che contenevano dei cadaveri, per superstizione o per paura, li ributtarono nel fiume. Da quel momento i corpi dei due missionari non sono stati mai più trovati. Soltanto a distanza di tre mesi, il 31 agosto 1950, venne diffusa dalla radio locale la notizia dell’arresto e della uccisione di. P. Mario Vergara e del catechista Isidoro per mano dei ribelli cariani. Qualche tempo dopo anche P. Pietro Galastri subirà la stessa sorte.
Don Davide Sglavo e Arturo Formola
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