Si è concluso qualche giorno fa l’Anno della Fede, indetto dal sommo Pontefice Benedetto XVI con il motu proprio: Porta fidei dell’ 11 ottobre 2011, in occasione del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (12 ottobre 1962), nonché nel ventennale dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992). Per questi motivi, dal 12 ottobre 2012 fino alla recente Solennità di Cristo Re dell’universo, il 24 novembre, siamo stati impegnati a riflettere sulla fede, riscoprendola come bisogno fondamentale della nostra vita ed opportunità sicura di vera umanità. Senza la fede, infatti, la vita dell’uomo sarebbe persa nel baratro del non senso, del buio esistenziale, della disperazione. Essa, quindi, è certezza, fondamento per costruire una dimora salda: sia come adesione intellettuale a verità rivelate accreditate dalla testimonianza di fede di molti (basterebbe ricordare gli esempi luminosi riportati nell’Enciclica Spe salvi), cioè al Dio che si dona a noi interamente, rivelando la sua natura nella morte del Figlio suo; sia, soprattutto, come abbandono fiduciale in colui che è degno di fiducia, il Dio di Gesù, il quale è autore e perfezionatore della fede (Eb 12,2). Quanto bisogno di certezze, quanto bisogno di fiducia abbiamo noi in questi tempi! È sotto gli occhi di tutti, infatti, che il mondo promette, ma non rende — mondo fatto dí sospetti e di disillusioni; e che le certezze e fiducie umane, pur apparendo spesso più promettenti e facili, deludono. Dalla fiducia in Dio — cioè a partire dalla certezza della sua misericordia, ovvero dalla fiducia che egli per primo ha nei nostri confronti, liberandoci dal peccato senza alcun nostro merito — ecco che anche l’uomo diventa egli stesso degno di fiducia. In altri termini, quando noi abbiamo fede in Dio, diventiamo in un certo senso simili a lui (1 Gv 3,2), cioè degni di fiducia e credibili. Ce lo ricorda l’apostolo Paolo nella lettera a Timoteo, quando affermava: “Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1Tm 1,12-14).
L’anno pastorale che abbiamo iniziato da poco sarà segnato da un altro grande impegno: la speranza. Su questo tema sarà concentrata tutta l’attività pastorale della Diocesi. Papa Francesco stesso, nella omelia della domenica delle Palme del 24 marzo 2013, diceva con voce decisa: “Per favore, non lasciatevi rubare la speranza!” In seguito, continuava: “Non siate mai uomini, donne tristi: un cristiano non può mai esserlo”. È evidente che la tristezza è sintomo disperazione, della ineluttabilità di una circostanza, di impossibilità di redenzione o di ripresa. Ecco la speranza: è il volto gioioso del cristiano. Senza speranza, infatti, l’uomo non costruisce avvenire, non sa guardare in avanti con sguardo sereno. Essa è il nome proprio del futuro cristiano, il custode delle nostre aspettative di bene, il movente della capacità dell’uomo di lanciarsi e di osare, anche in mezzo a innumerevoli difficoltà. La fede in Dio, allora — tema centrale dell’anno pastorale scorso — e la speranza nella sua amorevole provvidenza, sono i cardini della vita cristiana.
Nella sua lettera enciclica, Papa Benedetto XVI scriveva: «Spe salvi facti sumus — nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino” (1).
Ma cosa significa sperare? Nella vita quotidiana, l’uomo fa esperienza di molteplici livelli di speranza. L’unico termine speranza, infatti, nasconde vissuti personali di differenti profondità. Possiamo considerare almeno tre livelli della speranza. Esiste una speranza che qualcosa accada — primo livello; oppure una speranza di qualcosa – secondo livello. Infine, una speranza in qualcosa o, meglio, in qualcuno.
Il primo livello, la speranza che qualcosa accada. Si tratta della speranza in un accadimento fortuito, che non dipende dalle capacità o dai meriti del soggetto. È una speranza del tutto impersonale, di cui la vita quotidiana è piena, quasi a confondere le esigenze di una speranza più profonda ed umana con questa superficiale aspettativa. Per esempio, è la speranza di vincere alla lotteria, o di essere ripescati in un concorso; oppure, la speranza di superare un male da tutti ritenuto ormai letale. È certamente, questa, una prima esperienza di speranza la quale, tuttavia, non tocca ancora la profondità della persona, perché non si fonda su una relazione personale.
Il secondo livello della speranza: si tratta della speranza di qualcosa. Essa è fondata sulla presunzione di merito, o di capacità personali. “Io spero di vincere il torneo”, per esempio, non perché questo possa accadere fortuitamente, ma perché ritengo di averne le capacità; oppure, spero di vincere la causa, per il fatto d’essere in possesso di tutte le prove necessarie per dimostrare le mie ragioni. È, questa, la speranza di Giobbe, legata alla convinzione della propria innocenza (Gb 4,6); oppure il monito dello stesso agli empi i quali, immeritevoli, non possono vantare speranza alcuna nei confronti di Dio (Gb 4,6), perché “vana è la speranza degli empi” (Sap 3,11). Anche questo livello di speranza, pur essendo decisamente più profondo del primo, non esprime del tutto la bellezza della speranza fondata sulla fede. Il credente, infatti — l’uomo di fede, ha una speranza senza contenuti, senza obiettivi, senza fondare sul merito, perché è il completo abbandono alla affidabilità di Dio.
È, questa, la speranza in qualcosa o in qualcuno, la speranza contro ogni speranza (Rm 4,18) che ha come aspettativa la gratuità e come premio la comunione con Dio. Questa è la speranza cristiana: è l’abbandono fiduciale nel Dio di Gesù! Per questo, recita l’apostolo Paolo, “nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù” (Rm 8,38), per il fatto che egli abita in noi come speranza della gloria (Col 1, 27). Questo livello profondo, personalissimo della speranza, è descritto da Gesù per mezzo di racconti, di parabole. Nel vangelo di Marco, in particolare, leggiamo: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non Io sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura» (Mc 4,26-29). Si tratta, come anzidetto, della fiducia nella gratuità del dono. Come il contadino, allora, si affida alla generosità della terra che fa germogliare il seme e che produce il frutto, così chi appartiene al Regno di Dio si affida completamente alla sua provvidenza, sicuro che non sarà mai abbandonato. “So a chi ho dato fiducia” (2Tm 2,12), afferma Paolo, perché profondamente certo che Dio è dalla sua parte! Ancora lo stesso interroga: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?” (Rm 8,31-32).
La speranza per il cristiano è doverosa, necessaria, certa. Nelle difficoltà, Dio è vicino; nella confusione, Dio è luce; nel peccato, Dio è salvezza. Gesù è il nostro avvocato, colui che ci giustifica. Lo ricordava il Papa Francesco nella catechesi del 17 aprile scorso, con queste parole: “Gesù è il nostro avvocato, egli ci difende sempre […]. Vicino al Padre, egli intercede sempre a nostro favore […]. bello sentire che abbiamo un avvocato […]. Quando uno è chiamato dal giudice, è in una causa, la prima cosa che fa è chiamare l’avvocato: noi ne abbiamo uno che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati”.
In virtù di questa certezza, la speranza in Dio come adesione personale alla sua affidabilità è per noi un compito esigente. Per questo motivo il cristiano — come ammonisce l’apostolo Pietro —deve dar continuamente ragione della speranza che abita in lui ( l Pt 3,15). Come? In due modi, in particolare. In primo luogo, cercando di approfondire in maniera sempre più personale la ragionevolezza della sua fede; in secondo luogo, diventando egli stesso testimone di questa affidabilità. Tutti i cristiani, allora, ma in misura maggiore i catechisti, coloro che sono impegnati in prima linea nell’educazione alla vita buona del Vangelo, sono chiamati a svolgere questo compito: testimoni della speranza, sia con l’insegnamento sia con la propria vita; ripartire da Cristo e con coraggio andare nelle periferie a portare speranza agli ultimi (Papa Francesco-Congresso Internazionale sulla catechesi). L’essere forti nella speranza (2Cor 3,12), il sentirsi sempre pieni di fiducia (2Cor 5,6) — caratteristiche della gioia cristiana — sono attitudini che richiedono coerenza, impegno, coraggio. Dobbiamo essere, quindi, esempio di speranza, educare alla speranza nella nostra terra martoriata dalla povertà, dalla mancanza di lavoro e da notevoli disagi ambientali e sociali.
L’U.C.D. ha organizzato per l’anno pastorale 2013-2014 un corso di formazione per catechisti accompagnatori che si tiene in seminario l’ultimo martedì del mese dalle ore 17:00 alle ore 19:00. Tale corso ha lo scopo di formare catechisti formatori di altri catechisti in collaborazione con i parroci.
Aversa, Giubileo Lauretano, 2013
Documenti:
Programma Formazione formatori 2013-14
Comunità nell’azione
Formarsi per formare
L’IC nell’orizzonte della nuova evangelizzazione
Catechesi e comunicazione
Preghiera conclusiva
Percorso catechistico
Identita spirituale
(A cura dell’Ufficio Catechistico)