Parla il vescovo di Aversa: “La difficoltà è data sempre dalla non chiarezza in cui il male prospera, dalla capacità, propria del male, di nascondersi, di mimetizzarsi, di barare equivocando sulle parole, nel linguaggio e nelle forme”
“La sospensione di un anno dall’attività pubblica del ministero sacerdotale non è una forma blanda di punizione, è un’attesa di giudizio più esaustivo che potrebbe anche sfociare in altra forma di intervento canonico”. Mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa, è ancora provato dal caso scoppiato a seguito dell’arresto di don Michele Barone, che secondo la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha “perpetrato su numerose donne – tra le quali la minore e una giovane – medievali e brutali riti esorcisti, da qui l’accusa di violenza sessuale aggravata e dei maltrattamenti in famiglia”.
Come sta affrontando, anche personalmente, questa situazione così difficile per lei e per la diocesi?
Con grande disagio e intimo dolore. Siamo desiderosi di presentare le nostre scuse e di offrire solidarietà alle persone che hanno ricevuto danno dalle azioni di un sacerdote, ed anche, però, ci sentiamo come avviliti, come sconfitti in ciò che crediamo più importante per la nostra vita. La Chiesa, la nostra Chiesa di Aversa, per la generosità e la fedeltà di tanti sacerdoti e fedeli, si spende con tutte le sue forze per vivere il Vangelo, per offrire carità ed accoglienza, per sostenere la crescita nel bene di tutta la variegata umanità che incontra ogni giorno.
Non posso negare che, a fronte di situazioni di questo genere, rimane in tutti noi un certo scoraggiamento nel dover constatare che tante forme di dialogo e di impegno profuso per lo sviluppo della formazione di ciascuno dei suoi ministri appaiano come vanificati, non vissuti, e oserei dire negati da modi di agire che si configurano come attentati alla vita di altre persone.
In questa situazione, però, credo che la solidarietà che tanti, con semplicità e stima, ci esternano, il loro dolore, la loro preghiera e la loro speranza nel bene, ci chiamano a rafforzare la fedeltà al Vangelo e ad intensificare la nostra vita di quotidiano impegno, in obbedienza alla carità del Signore Gesù Cristo, e a vivere la più autentica missione cui siamo chiamati per incoraggiare e sostenere la crescita e lo sviluppo umano di ogni persona.
Molti fedeli sono scandalizzati da quanto accaduto. Si sente di dire qualcosa?
È vero: tanti fedeli sono rimasti ancora delusi e tanti hanno esternato la loro sfiducia nelle forme di vita della Chiesa. Questo ci addolora ancora di più. Semplicemente, in silenzio, raccogliamo anche il grido della delusione. Forse nemmeno lo sentiamo del tutto giusto nei confronti di tanti che sviluppano, come dicevo, tanta ricchezza di fedeltà e di ricerca del bene, ma comprendiamo che chi esterna il proprio essere scandalizzato sta richiamando la nostra attenzione e, nel rimprovero, ci chiede di
essere fedeli e coerenti con l’annuncio della fede.
A tutti vorrei rivolgere l’invito a riflettere sul fatto che la forza della struttura della Chiesa è data dal cammino quotidiano, silenzioso ed attento, nella carità e nella ricerca della verità, di tanti credenti. Il peccato che, purtroppo, sempre inquina le menti ed i cuori rimane come una drammatica esperienza di lontananza dalla verità della presenza di Dio.
È difficile prevenire simili casi di abuso del ministero sacerdotale?
Di fronte ad accuse tanto gravi, rimane la tristezza del dover riconoscere, come una forma di impotenza, la difficoltà di prevenire un certo tipo di azioni negative. La difficoltà, infatti, è data sempre dalla non chiarezza in cui il male prospera, dalla capacità, propria del male, di nascondersi, di mimetizzarsi, di barare equivocando sulle parole, nel linguaggio e nelle forme. Soprattutto, la difficoltà a prevenire lo sviluppo del male è nel chiudersi di alcuni all’ascolto della verità che gli viene annunziata e proposta, nel costruirsi una propria modalità di azione e di giudizio che, come un abbaglio accecante, allontana dal dialogo con la comunità e chiude la persona in una vana esaltazione del proprio protagonismo. Questo sembra rendere sterile ogni parola, inutile ogni avvertimento, vano ogni incoraggiamento, la persona diventa sorda, direi insensibile ad ogni invito a vivere il bene in dialogo con la comunità.
Ritiene che sia necessario intervenire ulteriormente nei confronti del sacerdote agli arresti, oltre alla sospensione di un anno già comminata?
Confesso che oltre il naturale e giusto risentimento verso colui che, nonostante gli avvertimenti e gli incoraggiamenti, ha deviato tanto clamorosamente da ciò che la comunità cristiana annuncia e vuole vivere con grande impegno e disponibilità, avverto tanto dolore per la sua situazione e voglio augurarmi un suo ravvedimento. Questo, però, non può esimerci dal
dovere di usare tutte le indicazioni e le prescrizioni del Codice e della tradizione della Chiesa perché possa comprendere la gravità delle situazioni in cui è caduto,
prenderne autentica consapevolezza ed esprimere desiderio di redenzione. Insomma, nella Chiesa la pena è sempre comminata per la salvezza. Nel caso specifico, la sospensione di un anno dall’attività pubblica del ministero sacerdotale non è una forma blanda di punizione, è un’attesa di giudizio più esaustivo che potrebbe anche sfociare in altra forma di intervento canonico.
Simili casi di affidamento “incondizionato” a sacerdoti che non sono nemmeno autorizzati dal vescovo a esercitare il ministero dell’esorcista, possono dipendere anche da una religiosità popolare male interpretata?
Sicuramente. Purtroppo dobbiamo rilevare che sempre più spesso incontriamo persone segnate da un certo disagio interiore, da fatica esistenziale, da tristezza e dall’ansia che si genera negli animi a causa delle tante incertezze che caratterizzano, oggi, il pensiero sul valore della vita, la ricerca di una reale collocazione nella riorganizzazione del lavoro, il sentire un clima sociale poco accogliente e, a volte, ostile, la confusione nelle dinamiche degli affetti. Credo che le insicurezze di questo momento storico, le incertezze nel poter giudicare e discernere il giusto ed il buono, le delusioni che attanagliano le speranze di vita serena di tante persone sono la concreta causa di grandi sofferenze e spesso di autentiche malattie dello spirito.
Il bisogno di cercare una soluzione rapida ai propri problemi rischia di portare le persone a cercare una forma di religiosità più simile alla superstizione,
ovvero alla ricerca di qualcosa che spieghi l’origine del disagio e che appaghi con formule immediate ed apparentemente più efficaci l’ansia di soluzione. Da qui il nascere di una sorta di complicità tra coloro che cercano una soluzione ai loro problemi e chi sembra essere dotato di poteri straordinari per risolvere le difficoltà del vivere quotidiano. La preghiera, invece, è offerta di sé, è disponibilità a rinnovare la propria vita, ad aprirsi alla grazia del Dio che è Padre, al desiderio di vivere più intensamente secondo la sua volontà e in comunione con il suo Figlio Gesù nella luce che ci dona lo Spirito Santo, ovvero a riconoscere che la situazione di debolezza e di fragilità ci chiama, poi, ad un rinnovato vivere nella luce della fede.
La diocesi collaborerà con la magistratura?
La diocesi collabora ordinariamente con tutti gli organismi interessati a far luce sulla realtà e ad offrire le indicazioni più efficaci per correggere nella giustizia ogni comportamento errato.
(L’intervista è stata pubblicata sul sito dell’Agensir)