Il 25 Settembre la Chiesa di Aversa ricorda uno dei suoi figli più illustri nell’anniversario del martirio.
Antonio Canduglia nacque ad Aversa il 13 giugno 1861 da Michele e da Giuseppa De Chiara. Il giorno dopo gli fu amministrato il Battesimo nella parrocchia dei SS. Filippo e Giacomo. Antonio, secondogenito di tre figli precedeva, in età, la sorella Marianna, che lo seguirà a Parigi nella stessa Congregazione di S. Vincenzo de’ Paoli, nel ramo femminile “Figlie della Carità” .
Antonio era un bambino docile per natura, rimasto presto orfano dei genitori, fu educato dai nonni materni. Conseguita la licenza ginnasiale nella città normanna, ottenne quello che da tempo desiderava: indossare l’abito talare. All’età di 18 anni Antonio entrò nel Seminario Vescovile di Aversa, dove ebbe modo di conoscere l’Opera della Propagazione della Fede, movimento missionario ivi ben radicato già dal 1822.
Antonio aveva coltivato a lungo il sogno di partire missionario, Nel 1880, all’età di 19 anni, lasciò la città natale e raggiunse Parigi, per entrare nella congregazione dei Padri Lazzaristi, fondati da san Vincenzo de’Paoli . A quel tempo, per abbracciare la vita missionaria, ci si doveva trasferirsi al Nord, o, addirittura, all’Estero. Sarà il beato Padre Paolo Manna ad avviare un luogo di formazione missionaria nel Meridione d’Italia nel 1921, con la fondazione del Seminario Missionario “S. Cuore” in Trentola Ducenta.
Il Canduglia emise la professione religiosa il 3 maggio 1882, entrando così definitivamente nella Congregazione Vincenziana, mentre ill 7 giugno1884 , sempre a Parigi, fu ordinato sacerdote. Il 5 luglio dello stesso anno lasciava Parigi per l’Estremo Oriente, la Cina, la terra dei suoi sogni.
Padre Antonio arrivò a destinazione, nel Kiang-si meridionale, avendo confratelli vincenziani come maestri di pastorale missionaria e di lingua cinese con i difficili dialetti in particolare il mandarino.
Padre Canduglia cercava di inserisi totalmente nella vita cinese, impegnandosi nel campo dell’inculturazione. Per lui era necessario farsi “tutto a tutti”. Aveva cambiato usi e costume , lo stesso nome, e si vestiva alla cinese . Giorno dopo giorno il vincenziano aversano diventava “cinese tra i cinesi”.
Terminato lo studio della lingua, al giovane missionario fu assegnato il distretto che abbracciava tutto il dipartimento di Nanhag-Fou , con numerosi villaggi, tra i quali, quello di Tawoli (dove Padre Antonio risiederà e incontrerà il martirio); la sua dimora: una misera capanna che era chiesa, sacrestia, studio, camera da letto.
Durante i torbidi anni che seguirono le rivolte xenofobe e anticristiane della fine del secolo XIX e degli inizi del XX, con la sanguinosa rivoluzione dei Boxer – scoppiata prima nel Nord della Cina e nel 1907 dirottata al Sud – non fu risparmiata la missione dei Lazzaristi di Tawoli.
Erano tempi in cui chiese, cappelle, residenze,villaggi tutto veniva saccheggiato ed incendiato. Nella missione del Padre Canduglia la situazione fu peggiore degli altri luoghi: i fanatici incendiari, messo a soqquadro l’intero villaggio e creando paura e angoscia, intendevano annientare tutti i cristiani. Però padre Antonio sapeva bene che ogni buon pastore non fugge se vede venire il lupo.
Nel pomeriggio del 24 settembre 1907, Tawoli era completamente circondata da centinaia di Boxer; vennero uccisi alcuni cristiani. Al padre Canduglia fu proposto di abbandonare tutto e tutti e fuggire. Però la sua preoccupazione non era di risparmiarsii, ma di salvare gli altri. Padre Antonio ripeteva spesso: «La mia vita poco importa: prima di tutto io devo proteggere i miei cristiani. Avete dimenticato che un pastore deve dare la sua vita per le sue pecore? Non siamo degni del martirio; ma quale grazia ci concede Dio di fare in tutto la sua santa volontà!».
Nella notte i Boxer, straripati ormai a migliaia, incominciarono ad appiccare fuoco dappertutto e perirono molti cristiani.
Mercoledì 25 Settembre 1907: giorno del martirio. Ai vari appelli di Padre Antonio di salvare i fedeli il mandarino gli consigliò di abbandonare tutto e tutti e salvare la vita. Puntualmente la risposta fu: «La mia vita poco importa, prima di tutto proteggete i miei cristiani».
“Allora, fattolo salire su un cavallo, lo prelevarono con forza con l’intento apparente di portarlo in salvo con i suoi cristiani. Uscito dal villaggio lo attendeva un feroce gruppo di rivoluzionari che ferirono il missionario, poi l’uccisero; Il cadavere fu allora decapitato e aperto. Il cuore e le viscere strappate e il corpo crivellato con arma tagliente; nella serata, poi, il cuore fu divorato da quei banditi, mentre le viscere furono sospese agli alberi per essere mangiate dagli uccelli” (Nicola Giallaurito, “La mia vita non importa…” P. Antonio Canduglia C.M. martire aversano, p.162-163).
Sta di fatto che, uccidendo lui, furono salvi quasi tutti i suoi cristiani, rinchiusi nella sua chiesa . Consegnandosi come agnello condotto al macello, aveva già ottenuto salva la vita per i suoi cristiani.
Nei ventitrè anni di missione in Cina padre Canduglia ha testimoniato il Vangelo in modo eroico, senza risparmiarsi, preoccupato solo di amare Dio e il prossimo, non badando alla propria vita.
Ai Cinesi aveva voluto non soltanto dare il Vangelo di Dio, ma tutto se stesso!
Aversa gli ha dedicato una strada, in uno dei vecchi quartieri della città, mentre la Diocesi ha ricordato solennemente il centenario del suo martirio nell’Abbazia di s. Lorenzo fuori le Mura il 25 settembre 2007 con un convegno commemorativo tenuto dal Centro Missionario, i Padri Vincenziani di Napoli e I MIssionari del PIME di Ducenta; la solenne Concelebrazione eucaristica fu presieduta dall’arcivescovo-vescovo di Aversa Mons. Mario Milano, che nell’omelia evidenziava come:“Il glorioso nome di Padre Antonio Canduglia è ben collocato nel martirologio della Chiesa, a perenne testimonianza di amore e di fedeltà a Cristo Signore e alla Sua Chiesa “
Mons. ERNESTO RASCATO
Archivista Diocesano